L’illuminazione inaspettata
Era una giornata come tante quando, durante una conversazione con un’amica, qualcosa è cambiato. Parlavamo di come percepivamo il mondo, di quanto ci sentissimo sopraffatte in ambienti caotici, della nostra tendenza a notare dettagli che altri ignoravano, della nostra profonda empatia che spesso ci lasciava esauste. Fu lei a pronunciare quelle parole: “Sonia, hai mai considerato di essere una Persona Altamente Sensibile, proprio come me?”
Ricordo di aver accolto quella frase con un misto di scetticismo e curiosità. Altamente sensibile? Esisteva davvero un termine per descrivere quel complesso di caratteristiche che mi aveva accompagnato fin dall’infanzia? Quella sera stessa iniziai a documentarmi, e fu come se qualcuno avesse acceso una luce in una stanza che avevo abitato al buio per decenni.
Leggendo le pagine di “Persone Altamente Sensibili” di Elaine Aron, trovai descritta con precisione scientifica la mia esperienza quotidiana. Successivamente, la lettura de “Il potere nascosto degli ipersensibili” di Christel Petitcollin ha ulteriormente ampliato la mia comprensione di questo tratto.
Non stavo immaginando nulla: circa il 15-20% della popolazione nasce con un sistema nervoso più reattivo, capace di elaborare gli stimoli in modo più profondo rispetto alla media. Non era una patologia, non era un disturbo – era semplicemente un tratto della personalità con cui ero venuta al mondo.
Come afferma Elaine Aron: “Essere una persona altamente sensibile significa che sei consapevole delle sottigliezze nel tuo ambiente, un grande vantaggio in molte situazioni. Significa anche che puoi essere più facilmente sopraffatto quando sei stato a lungo in ambienti altamente stimolanti, avendo ricevuto più input rispetto ad altri.”
Questa definizione catturava perfettamente la mia esperienza: la ricchezza della mia percezione e, al contempo, la fatica che spesso ne derivava.
Ripercorrere il passato con nuovi occhi
Scoprire di essere una PAS in età adulta significa inevitabilmente rivisitare il proprio passato attraverso una nuova lente. Improvvisamente, molti episodi della mia vita hanno trovato una spiegazione coerente.
I segnali che ora riconosco
Le feste di compleanno dell’infanzia dove mi sentivo sopraffatta e mi isolavo per trovare un momento di quiete. L’emotività intensa davanti a un film, a una canzone, o per la sofferenza altrui. Le reazioni acute agli odori forti, alle luci intense, ai rumori improvvisi. La tendenza alla riflessione profonda prima di prendere decisioni. Il bisogno intenso di solitudine dopo periodi di intensa socializzazione. Il disagio fisico in ambienti caotici o troppo stimolanti.
Tutti questi aspetti della mia esperienza, che fino a quel momento avevo vissuto come “stranezze” o “debolezze”, trovavano finalmente una spiegazione scientifica.
La validazione scientifica
Come osserva Ilse Sand nel suo libro “Troppo sensibili”: “Le persone altamente sensibili non solo notano più stimoli rispetto agli altri, ma li elaborano anche più profondamente.”
Una ricerca condotta dalla ricercatrice Bianca P. Acevedo e colleghi (2014) conferma questa realtà a livello neurobiologico, dimostrando attraverso studi di neuroimaging funzionale che: “Il cervello altamente sensibile mostra una maggiore attivazione in regioni coinvolte nell’attenzione, nella pianificazione delle azioni, nell’elaborazione delle informazioni sensoriali e nell’empatia.”
La rivelazione portò con sé un misto di emozioni contrastanti. Da un lato, provavo sollievo e validazione – non c’era nulla di “sbagliato” in me. Dall’altro, emergeva un senso di rammarico per gli anni trascorsi a combattere contro la mia natura, cercando di adattarmi a ritmi e contesti che mi prosciugavano energeticamente.
Il difficile processo di accettazione
L’informazione, per quanto illuminante, non si traduce automaticamente in accettazione. Conoscere il termine “Persona Altamente Sensibile” è stato solo l’inizio di un lungo percorso di riconciliazione con me stessa.
Le domande difficili
All’inizio era difficile accettare che alcune situazioni, per me naturalmente sfidanti, fossero gestite con apparente facilità dalla maggioranza delle persone. Perché dovevo sentirmi così facilmente sopraffatta da stimoli che per altri rappresentavano la normalità? Perché dovevo prendermi tempi di recupero più lunghi dopo esperienze sociali intense? Perché dovevo sentire così profondamente ogni emozione, ogni conflitto, ogni bellezza?
Il cambiamento di paradigma
La tentazione iniziale era di continuare a considerare l’alta sensibilità come un limite da superare, un ostacolo da aggirare. Ma più approfondivo la mia comprensione, più diventava chiaro che questo approccio era fondamentalmente errato.
Non si trattava di “guarire” dalla mia sensibilità, ma di imparare a vivere in armonia con essa.
Questo processo ha richiesto tempo, pazienza, la volontà di mettere in discussione credenze profondamente radicate su cosa significasse essere “forte” o “adeguata”, e momenti di frustrazione quando ricadevo in vecchi schemi di autocritica. Ma gradualmente, un nuovo equilibrio ha iniziato a emergere.
Una nuova prospettiva
Come suggerisce Christel Petitcollin nel suo libro “Il potere nascosto degli ipersensibili”: “Non si tratta di voler essere come gli altri a tutti i costi, ma di accettare la propria diversità, rispettando i propri bisogni e i propri limiti.”
Susan Cain nel suo libro “Quiet. Il potere degli introversi in un mondo che non sa smettere di parlare” rafforza questa prospettiva: “La nostra cultura dà così tanto valore a chi si espone pubblicamente che tendiamo a dimenticare quelli che preferiscono ascoltare piuttosto che parlare, riflettere piuttosto che agire, creare piuttosto che competere.”
La trasformazione: da fardello a dono
Il vero punto di svolta è arrivato quando ho iniziato a considerare la mia sensibilità non come un fardello da sopportare, ma come una caratteristica preziosa da onorare. Questo cambiamento di prospettiva ha richiesto un’attenta osservazione sia dei limiti che dei doni che l’alta sensibilità porta con sé.
I doni nascosti della sensibilità
Ho iniziato a notare come la mia capacità di percepire sfumature sottili mi rendesse particolarmente efficace nel mio lavoro. Come insegnante di yoga, riuscivo a captare quasi istintivamente i bisogni non espressi dei miei allievi, a percepire quando qualcuno aveva bisogno di un approccio più delicato o di un incoraggiamento particolare.
La mia profonda capacità di empatia, che per anni avevo vissuto principalmente come un canale attraverso cui assorbire il dolore altrui, si rivelava ora come una straordinaria risorsa per creare connessioni autentiche. La mia sensibilità agli ambienti mi permetteva di creare spazi particolarmente nutrienti e accoglienti. La mia tendenza alla riflessione profonda si traduceva in intuizioni creative che arricchivano sia la mia vita personale che professionale.
L’apprendimento dell’autoregolazione
Giorno dopo giorno, ho imparato a rispettare i confini del mio sistema nervoso senza vergogna. Ho iniziato a creare routine quotidiane che sostenessero la mia sensibilità invece di sfidarla. Ho imparato a riconoscere i primi segnali di sovrastimolazione e ad agire di conseguenza, senza aspettare di raggiungere il punto di esaurimento.
La validazione scientifica del potenziale
Uno studio rilevante pubblicato nel 2019 da Greven e colleghi afferma che: “La sensibilità all’elaborazione sensoriale rappresenta una predisposizione che, in condizioni favorevoli, può portare a risultati eccezionalmente positivi.”
Amanda Cassil, autrice di “The Empowered Highly Sensitive Person”, illustra questo concetto in termini pratici: “La sensibilità è una forza quando le persone altamente sensibili imparano a creare uno stile di vita che sostiene i loro bisogni unici e coltiva le loro straordinarie capacità.”
Il coraggio di presentarsi come PAS
Se già il riconoscermi persona altamente sensibile è stato impegnativo ed ha richiesto tempo e pazienza, il passo successivo non è stato da meno: presentarmi agli altri come tale.
La vulnerabilità dell’esposizione
Inizialmente, condividere questa parte della mia identità sembrava un’esposizione eccessiva, quasi come spogliarmi e mostrare la mia fragilità e vulnerabilità più profonde.
Mi ritrovavo a selezionare attentamente con chi parlarne, temendo reazioni di scetticismo – “È solo una scusa per essere difficile” – di svalutazione – “Non è una cosa reale” – o di disinteresse verso quella che poteva sembrare l’ennesima etichetta di moda.
Le sfide specifiche
Particolarmente sfidante è stato presentarmi come persona altamente sensibile in contesti professionali e medici. Ricordo la prima volta che ho menzionato la mia alta sensibilità a un medico, preparandomi mentalmente a possibili risposte di disinteresse o minimizzazione.
Anche con le persone che mi conoscevano da una vita – familiari e amici di lunga data – emergeva un dilemma particolare. Da un lato, la speranza che questa nuova comprensione potesse illuminare retrospettivamente comportamenti che avevano trovato incomprensibili o irritanti. Dall’altro, il timore che potessero pensare che stavo cercando di reinventarmi o, peggio, di giustificare aspetti della mia personalità che avevano sempre trovato difficili da accettare.
La scoperta della comprensione
Con il tempo, però, ho scoperto che presentarmi come persona altamente sensibile non significava necessariamente esporsi a giudizi negativi. Al contrario, spesso questa apertura creava spazi di comprensione reciproca che prima erano inaccessibili. Alcune relazioni sono diventate più autentiche. La mia pratica professionale si è arricchita, permettendomi di creare esperienze più calibrate e consapevoli per i miei allievi.
Una nuova naturalezza
Come sottolinea il Dr. Tracy M. Cooper nel suo libro “Thrive: The Highly Sensitive Person and Career”: “Condividere la propria sensibilità nei contesti professionali richiede una valutazione attenta, ma può anche aprire la strada a collaborazioni che valorizzano le qualità uniche delle PAS.”
Oggi, dopo un bel po’ di pratica, sono in grado di parlare della mia sensibilità con una naturalezza che una volta sembrava impossibile. Non è qualcosa di cui mi vanto, né qualcosa che nascondo. È semplicemente una parte di chi sono, un aspetto della mia identità che, quando compreso, può rendere le relazioni e le interazioni più fluide e autentiche.
Il mio approccio multidisciplinare: quando le diverse strade convergono
Nel mio percorso come PAS, ho scoperto che nessun approccio singolo poteva rispondere pienamente alle complesse esigenze di un sistema nervoso altamente sensibile. È emersa così, quasi naturalmente, la necessità di integrare diverse discipline in un metodo olistico e personalizzato.
La nascita di un metodo integrato
La comprensione della mia natura altamente sensibile ha rappresentato la chiave di volta che ha dato significato e coerenza al mio percorso professionale. Anni di formazioni apparentemente eterogenee hanno finalmente trovato una cornice unificante, un filo conduttore che prima non riuscivo a definire con chiarezza.
Il metodo che è emerso integra naturalmente le diverse discipline che ho studiato e praticato negli anni: lo yoga e le pratiche di respirazione, diverse forme di meditazione, il Focusing, la kinesiologia, il Reiki, il Pranic Healing e molte altre tecniche e approcci. Ciò che prima poteva sembrare un percorso eclettico e frammentato, ora si rivela come un’esplorazione coerente guidata dalla mia sensibilità.
Il fondamento scientifico
Come osserva Julie Bjelland nel suo libro “Brain Training for the Highly Sensitive Person”: “Le persone altamente sensibili richiedono un approccio multisfaccettato che tenga conto della loro elaborazione neurale distintiva. Un approccio integrato che combina tecniche somatiche, cognitive e contemplative può essere particolarmente efficace per le PAS, rispettando la complessità del loro sistema nervoso.”
In questo approccio integrato, non è tanto la tecnica specifica a fare la differenza, quanto la qualità dell’attenzione e la capacità di sintonizzarsi sottilmente con i bisogni del sistema corpo-mente. La mia esperienza come persona altamente sensibile mi ha permesso di sviluppare un’intuizione particolare su come diversi approcci possano essere combinati e adattati per sostenere il delicato equilibrio di un sistema nervoso sensitivo.
Pratiche di consapevolezza e presenza
Le pratiche di presenza e consapevolezza rappresentano una componente fondamentale del mio approccio. Attraverso queste pratiche, ho scoperto strumenti preziosi per navigare le intense correnti emotive e sensoriali che caratterizzano l’esperienza di una persona altamente sensibile.
L’arte dello stare con
Queste pratiche mi hanno insegnato l’arte di stare con ciò che emerge momento per momento, senza resistenza e senza identificazione. Ho imparato ad accogliere le ondate di sensazioni intense con un’attenzione curiosa e non giudicante, creando uno spazio interiore che permette all’esperienza di fluire invece di sopraffare.
Un’ancora nel caos
L’essenza di queste pratiche non risiede in un particolare protocollo o tradizione, ma nella coltivazione di una qualità di presenza che è al tempo stesso radicata e spaziosa. Questo stato di consapevolezza rappresenta un’ancora stabilizzante nei momenti di sovrastimolazione e un invito ad abitare pienamente l’esperienza nei momenti di tranquillità.
La conoscenza teorica come fondamento
La comprensione intellettuale dei meccanismi sottostanti l’alta sensibilità ha rappresentato un complemento essenziale all’esperienza diretta. Studiare i fondamenti neurobiologici di questo tratto, comprendere le differenze nella soglia di attivazione del sistema nervoso e nei processi di elaborazione degli stimoli, mi ha permesso di normalizzare esperienze che per gran parte della mia vita avevo patologizzato.
La trasformazione della narrativa
Questa comprensione teorica ha trasformato radicalmente la narrativa che avevo costruito intorno alle mie reazioni. Non si trattava più di essere “troppo sensibile” o “troppo emotiva”, ma semplicemente di avere un sistema nervoso che funziona esattamente come dovrebbe – solo con una modalità di elaborazione diversa da quella della maggioranza delle persone.
Informare la pratica
La conoscenza scientifica ha anche informato lo sviluppo del mio metodo, permettendomi di comprendere quali approcci potessero essere più efficaci per le specifiche sfide che affrontano le persone altamente sensibili. Questa integrazione tra teoria e pratica, tra comprensione intellettuale ed esperienza diretta, rappresenta un elemento distintivo del mio approccio.
Il potere della comprensione
Denise J. Hughes e Cheri Gregory, autrici di “Sensitive and Strong”, evidenziano l’importanza di questa fondazione teorica: “Quando le persone altamente sensibili comprendono i meccanismi neurobiologici alla base della loro esperienza, possono passare dal sentirsi ‘difettose’ al riconoscersi come ‘diversamente cablate’ – una distinzione fondamentale per lo sviluppo di una relazione sana con la propria sensibilità.”
Il contatto con la natura: ritrovare il proprio ritmo
La natura si è rivelata una potente medicina per il mio sistema nervoso altamente sensibile. In un mondo caratterizzato da stimolazione costante e ritmi accelerati, immergermi in ambienti naturali mi ha offerto l’opportunità di riconnettermi con ritmi più lenti, organici e sostenibili.
La differenza qualitativa degli stimoli
Le passeggiate nel bosco, la contemplazione dell’acqua, il contatto con la terra – queste esperienze nutrono profondamente il sistema nervoso di una PAS. La stimolazione in natura, a differenza di quella degli ambienti urbani, tende ad essere più armonica, più integrata, meno frammentata e caotica.
Micro-pratiche di connessione
Ho scoperto che anche brevi momenti di connessione consapevole con elementi naturali possono avere un effetto profondamente regolatore. Toccare la corteccia di un albero, ascoltare il suono dell’acqua o semplicemente osservare il movimento delle nuvole può riportare il sistema nervoso a uno stato di equilibrio in modo sorprendentemente efficace.
Dai limiti alle possibilità: ripensare l’alta sensibilità
Ripensando al mio percorso, ciò che emerge con maggiore chiarezza è come la trasformazione più significativa non sia avvenuta a livello esterno, ma nella mia percezione interna dell’alta sensibilità.
Il cambiamento di prospettiva
All’inizio del mio viaggio, vedevo principalmente i limiti: situazioni da evitare, ambienti in cui non potevo funzionare, attività che mi esaurivano. Con il tempo e la pratica, ho iniziato a vedere le possibilità: come la mia sensibilità potesse diventare una risorsa, come potessi contribuire in modi unici grazie a questa caratteristica, come potessi esprimere il mio potenziale autentico invece di cercare costantemente di adattarmi a modelli che non mi appartenevano.
Una relazione sana con la sensibilità
Questo non significa che l’alta sensibilità non comporti ancora sfide quotidiane. Significa che ho sviluppato una relazione più sana ed equilibrata con questa parte fondamentale della mia identità. Non combatto più contro la mia natura sensibile, né cerco di ignorarne i segnali. Ho imparato ad ascoltare con rispetto i bisogni del mio sistema nervoso, a creare condizioni che mi permettano di prosperare invece che semplicemente sopravvivere.
Il filo conduttore professionale
La scoperta dell’alta sensibilità ha anche illuminato il mio percorso professionale, rivelando il filo conduttore che unisce le diverse discipline che ho studiato e praticato nel corso degli anni. Ciò che prima appariva come un’esplorazione eclettica di tecniche e approcci diversi, ora si rivela come un’evoluzione naturale guidata dalla mia sensibilità innata e dal desiderio di trovare strumenti efficaci per navigare un mondo spesso sovra stimolante.
Un invito a condividere il cammino
Se stai leggendo queste righe e ti riconosci in ciò che ho descritto, voglio lasciarti con un messaggio di speranza e un invito concreto.
Un messaggio di validazione
Essere una Persona Altamente Sensibile in un mondo che spesso non comprende o non valorizza la sensibilità può essere incredibilmente sfidante. Può farti sentire fuori posto, “troppo” di qualcosa, o semplicemente diverso.
Ma la tua sensibilità non è un errore. Non è qualcosa da correggere o da superare. È parte integrante di chi sei, una caratteristica preziosa che, quando compresa e onorata, può diventare una delle tue risorse più significative.
La natura non lineare del percorso
Il percorso verso l’accettazione non è lineare. Ci saranno giorni in cui ti sentirai in pace con questa parte di te, e giorni in cui la vedrai ancora come un ostacolo. Ma con il tempo e la gentilezza verso te stesso, è possibile trasformare questa relazione – passare dalla lotta all’accettazione, e dall’accettazione alla celebrazione di questo tratto unico.
Non sei solo
Se risuoni con queste parole, sappi che non devi percorrere questa strada da solo. Sono qui per chi desidera approfondire, per chi cerca strumenti pratici o semplicemente uno spazio dove la propria sensibilità viene accolta e compresa.
Non prometto soluzioni miracolose, ma posso offrirti ciò che avrei voluto ricevere io stessa: comprensione autentica, strumenti concreti e la rassicurazione che questa caratteristica è un dono prezioso.
Il tuo prossimo passo
Se desideri esplorare più a fondo come la tua sensibilità possa trasformarsi da peso in risorsa, sentiti libero di raggiungermi per una consulenza.
Qualunque sia il prossimo passo che sceglierai, ricorda che sei già sulla strada giusta: hai iniziato a riconoscere e dare un nome alla tua esperienza.
La tua sensibilità è una guida potente, non un ostacolo da superare.
Fai il Test
Se riconosci in queste parole la tua esperienza, ti invito a fare il test della dottoressa Elaine Aron per scoprire se sei una Persona Altamente Sensibile. È il primo passo per iniziare a comprendere e valorizzare questo aspetto così importante della tua natura.
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La consulenza può svolgersi nel mio studio, uno spazio creato per onorare e sostenere la sensibilità, oppure online se preferisci rimanere nel comfort del tuo ambiente familiare per il nostro primo incontro.
Nota importante: Il mio servizio non è una consulenza terapeutica, una diagnosi psicologica o un corso di sviluppo dell’intuizione tradizionale. È un atto di cura basato sull’ascolto interiore, un insieme di pratiche per imparare a riconoscere e coltivare la tua sensibilità come risorsa, un metodo flessibile e personalizzato che rispetta completamente i tuoi tempi e la tua unicità.