La domanda che mi sento rivolgere più spesso
“Che stile di yoga insegni?” È la domanda che mi sento rivolgere più spesso, e ogni volta sorrido dolcemente prima di rispondere.
Perché la verità è che quello che offro non si può racchiudere in una definizione tradizionale.
Non insegno uno stile di yoga particolare sebbene abbia fatto la formazione come insegnante di Kundalini yoga e poi studiato e praticato anche altri stili. Non seguo le sequenze codificate di nessuna scuola particolare. Quello che ho sviluppato negli anni è qualcosa di completamente diverso: un metodo integrato che nasce dall’ascolto profondo di ciò che ogni Persona Altamente Sensibile porta con sé nel momento presente.
Tempo addietro, quando ero solo una praticante, spinta dalla curiosità e dalla voglia di conoscere, ho frequentato molte lezioni di gruppo. In quelle classi l’insegnante scandiva il tempo delle posizioni, si seguivano sequenze prestabilite, il ritmo era deciso dall’esterno. Spesso l’invito tacito era semplicemente imitare ciò che faceva l’insegnante.
Ma in quelle lezioni non trovavo la forza e la profondità che io cercavo, così il mio corpo si ribellava silenziosamente, la mia mente andava in sovraccarico, costretta a mantenere l’attenzione su un ulteriore stimolo a fare qualcosa e come farlo piuttosto che ritrovare tranquillità. Il mio sistema nervoso, già iper-stimolato dalla vita quotidiana, non trovare il ristoro di cui necessitavo.
Come osserva Susan Cain nel suo libro “Quiet – Il potere degli introversi”:
“… eventi come questo non mi trasmettono la sensazione di legame comunitario che altri sembrano provare: sono sempre state le situazioni intime e private a farmi sentire in rapporto con le gioie e i dolori del mondo spesso attraverso la sintonia con scrittori o musicisti che mai conoscerò di persona”
Eppure sentivo che nello yoga c’era qualcosa di profondamente giusto per me. Era come se il mio corpo riconoscesse una verità antica in quei movimenti, in quella connessione tra respiro e movimento, in quell’invito a volgersi verso l’interno. Ma c’era un disallineamento costante tra quello che il mio essere PAS necessitava e quello che mi veniva proposto.
La scoperta che tutto può essere cura
La svolta è arrivata quando ho smesso di cercare la “pratica perfetta” e ho iniziato a chiedermi: “Di cosa ha bisogno il mio corpo oggi?”
Ricordo una mattina in cui avevo pianificato di fare la mia solita sequenza di asana, ma quando mi sono seduta sul tappetino, il mio corpo mi ha chiesto altro. Voleva semplicemente respirare. Voleva essere ascoltato. Voleva che io posassi le mani sul cuore e rimanessi lì, in quell’ascolto, per tutto il tempo necessario.
Quella mattina ho compreso! La vera pratica non sta nel seguire una forma esterna, ma nell’ascoltare la forma che emerge dall’interno.
Da quel momento ho iniziato a sviluppare il mio metodo. Un approccio che attinge da diverse tradizioni e discipline – yoga, respiro consapevole, meditazione, Reiki, focusing, kinesiologia applicata e le integra in un unico fine: ritrovare la saggezza interiore di ogni persona, specialmente di chi vive con un sistema nervoso altamente sensibile.
Quando le pratiche tradizionali non bastano
La Dottoressa Elaine Aron, nei suoi studi sulle Persone Altamente Sensibili, evidenzia come il 15-20% della popolazione necessiti di approcci diversificati per la gestione dello stress e dell’iperstimolazione. Le pratiche standardizzate, per quanto validissime, spesso non tengono conto delle specificità neurobiologiche delle PAS.
Il problema non è lo yoga in sé, ma l’applicazione di un approccio “taglia unica” a sistemi nervosi che funzionano in modo diverso. Una Persona Altamente Sensibile non ha bisogno di adattarsi a pratiche standard o stili particolare, ha bisogno di una pratica adeguata cha la aiuti a imparare a riconoscere i segnali sottili del proprio corpo e a rispettarli profondamente.
Questo è il motivo per cui il mio metodo non parte mai da una forma prestabilita, ma dall’ascolto. Non chiedo “Riuscirai a fare questa posizione?”, ma “Cosa sente il tuo corpo?”.
“Le persone altamente sensibili richiedono un approccio che rispetti la loro elaborazione neurologica distintiva. La sensibilità non è una debolezza da correggere, ma una caratteristica da onorare.” — Julie Bjelland
L’integrazione come necessità, non come scelta
Nel mio percorso di formazione ho studiato diverse tradizioni e discipline, ma è stata la vita stessa a insegnarmi che le Persone Altamente Sensibili hanno bisogno di un approccio multidisciplinare. La nostra sensibilità non è solo fisica – è energetica, emotiva, mentale, spirituale. Per questo motivo, un metodo che voglia essere davvero efficace deve parlare a tutti questi livelli.
È stata proprio la mia esperienza personale come PAS che mi ha fatto toccare con mano e comprendere chiaramente che spesso le pratiche yoga tradizionali che conoscevo mi davano un sollievo temporaneo, ma non toccavano ancora la radice del mio disagio.
È stato quando ho iniziato a integrare allo yoga le atre tecniche che avevo appreso che ho sentito un cambiamento profondo. Non era più solo il corpo che si rilassava – era tutto il mio essere che ritrovava la capacità di distendere tensioni interiori, di ritrovare un centro, una stabilità che nasceva dall’interno.
Questo approccio integrato è diventato la base del mio modo di lavorare: un sistema che riconosce la persona nella sua interezza e offre strumenti diversi per momenti e bisogni diversi.
I pilastri del metodo integrato
Il respiro come ponte
Tutto inizia sempre dal respiro, ma non con l’imposizione di una tecnica di respiro, bensì con l’osservazione gentile di come il respiro si manifesta in quel momento specifico. Spesso le PAS arrivano da me con pattern respiratori molto superficiali, segno di un sistema nervoso costantemente attivato. Il primo lavoro è sempre quello di creare uno spazio sicuro dove il respiro possa trovare il suo ritmo naturale.
Yoga come gentilezza ed espressione
Ogni corpo ha il suo linguaggio unico. Nel mio metodo, il movimento emerge dall’ascolto interiore piuttosto che dall’imitazione di forme esterne. Può essere un movimento quasi impercettibile, un’asana posizione mantenuta per lungo tempo, o una sequenza fluida. L’importante è che sia autentico per quella persona in quel momento.
Il tocco energetico come riequilibrio
Il Reiki e la kinesiologia applicata lavorano sui livelli sottili dell’essere, quelli che spesso sono più compromessi nelle PAS.
L’ascolto interiore come guida
Il focusing insegna a riconoscere le sensazioni sottili del corpo e a dialogare con esse. Per una Persona Altamente Sensibile, questa è una competenza fondamentale: distinguere tra le proprie sensazioni e quelle assorbite dall’esterno, comprendere i messaggi del corpo, creare uno spazio interno di sicurezza.
Ogni incontro è una scoperta
Con questa visione ogni sessione è unica. Non ho mai due incontri identici, perché ogni persona porta con sé un mondo diverso, e ogni momento della vita richiede un approccio diverso.
Questa è la potenza di un approccio integrato: può adattarsi al bisogno del momento senza forzature, senza aspettative, senza la pressione di dover “fare” qualcosa di specifico.
Con alcune persone lavoro principalmente attraverso lo yoga e la respirazione. Con altre mi concentro di più sul riequilibrio energetico. Alcune hanno bisogno di silenzio e presenza. La pratica si modella sulla persona, non viceversa.
“Il corpo sente prima di pensare. Se ascoltiamo questa sensazione, il corpo ci guiderà verso il significato più profondo e la guarigione.” — E. Gendlin
La scienza dietro l’integrazione
Gli studi di neuroimaging hanno dimostrato che le Persone Altamente Sensibili mostrano un’attivazione maggiore nelle aree cerebrali legate all’elaborazione sensoriale ed emotiva. Questo significa che il nostro sistema nervoso elabora più informazioni e lo fa in modo più profondo rispetto alla media.
Per questo motivo, le pratiche che funzionano per le PAS devono tenere conto di questa specificità neurobiologica. Non possiamo applicare gli stessi protocolli che funzionano per sistemi nervosi meno reattivi.
Il mio metodo integrato riconosce questa differenza fondamentale. Ogni tecnica viene adattata per rispettare i tempi di elaborazione più lenti delle PAS, la nostra tendenza all’iperstimolazione, il nostro bisogno di ambienti sicuri e non giudicanti.
La ricerca sulla neuroplasticità ci insegna che il cervello può creare nuove connessioni neurali attraverso pratiche consapevoli e regolari nel tempo. Il mio approccio integrato lavora proprio su questo: anche se ogni sessione è unica, la costanza dell’ascolto interiore e del rispetto dei propri segnali corporei crea gradualmente nuovi pattern neurali che supportano un sistema nervoso più regolato e resiliente. Non è la ripetizione meccanica della stessa tecnica, ma la ripetizione dell’atteggiamento di presenza e ascolto che trasforma il cervello.
Oltre la forma, verso l’essenza
Una delle frasi che ripeto più spesso durante le sessioni è: “Fidati del corpo e di ciò che senti”. Questo principio rivoluziona completamente l’approccio alla pratica.
In una sessione di yoga, spesso ci si concentra sul raggiungere la forma “corretta” della posizione. Io credo fermamente che la forma corretta è quella che permette alla persona di sentirsi centrata, presente, sicura nel proprio corpo.
Ciò che conta non è la complessità o la bellezza esterioria della pratica, ma la sua capacità di riportare la persona in connessione con sé stessa, di calmare il sistema nervoso, di creare quello spazio sicuro interiore di cui ogni PAS ha bisogno.
L’arte dell’adattamento costante
Uno degli aspetti più sfidanti e allo stesso tempo più affascinanti del mio lavoro è imparare a leggere i segnali sottili che ogni persona emana quando entra in studio. L’espressione del viso, come si muove, la voce, il tono, la qualità del respiro, la tensione muscolare, ciò che mi dice e come lo dice, l’energia generale – tutto mi parla e mi guida nell’adattare l’approccio momento per momento.
Questo richiede una presenza totale da parte mia e una capacità di ascolto che va ben oltre le parole. È come imparare a parlare una lingua fatta di sensazioni, di energie sottili, di messaggi non verbali che il corpo comunica costantemente.
Spesso durante una sessione modifico completamente la pratica in base a quello che percepisco. Posso iniziare con del movimento di distensione e accorgermi che la persona ha bisogno di maggiore radicamento, quindi spostarmi verso pratiche più statiche. Oppure posso sentire che c’è un’emozione che vuole emergere e creare lo spazio perché questo possa accadere in sicurezza.
Quando meno diventa più
Una delle lezioni più importanti che ho imparato nel corso degli anni è che, per le Persone Altamente Sensibili, spesso “meno è meglio”. Il nostro sistema nervoso è già naturalmente iperattivo, quindi aggiungere stimoli eccessivi – anche positivi – può essere controproducente.
Nel mio metodo, la semplicità è una scelta consapevole. E talvolta preferisco lavorare in profondità con pochi strumenti. Una respirazione consapevole praticata con presenza totale può essere infinitamente più trasformativa di una sequenza complessa eseguita meccanicamente.
Questo approccio sfida molte concezioni tradizionali sul “fare pratica”. Nella nostra cultura siamo abituati a pensare che più facciamo, meglio è. Ma per le PAS vale spesso il contrario: più siamo presenti a quello che facciamo, più profonda è la trasformazione.
Il ruolo dell’ambiente e dell’energia
Un altro aspetto importante è l’attenzione all’ambiente in cui si svolge la pratica. Le Persone Altamente Sensibili sono particolarmente influenzate dall’energia degli spazi, dai colori, dai suoni, dalla qualità della luce.
Per questo motivo nel mio studio ho creato un ambiente specificamente pensato per le PAS: luci soffuse, colori tenui, materiali naturali, silenzio o suoni molto delicati. Ma oltre all’ambiente fisico, c’è l’ambiente energetico che creo attraverso la mia presenza, la qualità del mio ascolto, il rispetto profondo per i tempi e i bisogni di ogni persona.
Spesso le persone mi dicono di sentirsi immediatamente più calme non appena entrano nello studio. Questo non è casuale: ho lavorato attentamente per creare uno spazio che parli direttamente al sistema nervoso delle PAS, che comunichi sicurezza e accoglienza a livello sensoriale e a livelli sottili.
L’evoluzione continua del metodo
Naturalmente è un modo di lavorare in costante evoluzione. Ogni persona che incontro mi insegna qualcosa di nuovo, mi mostra una sfaccettatura diversa dell’alta sensibilità, mi spinge ad ampliare e raffinare il mio metodo.
Questo spirito di ricerca costante è ciò che mantiene il mio lavoro vivo e autentico. Non mi accontento mai di formule preconfezionate, ma continuo a esplorare, a studiare, a sperimentare sempre in ascolto di quello che emerge dall’incontro con le persone.
Oltre la tecnica: la relazione
In conclusione non c’è una tecnica specifica che contraddistingue il mio metodo, ma la qualità della relazione che si crea durante le sessioni. Per una Persona Altamente Sensibile, sentirsi veramente vista, accolta, compresa nel proprio modo unico di essere, è già di per sé una carezza che cura.
Creo uno spazio dove non c’è giudizio, dove non ci sono aspettative, dove la persona può essere esattamente come è in quel momento. Dove le lacrime sono benvenute tanto quanto la gioia, dove la fatica è rispettata tanto quanto l’energia, dove la sensibilità è celebrata come un dono, non tollerata come un problema.
Questa qualità relazionale trasforma ogni tecnica, rende potente anche il gesto più semplice, crea la sicurezza necessaria perché possa avvenire una vera trasformazione.
Il tuo benessere è il mio impegno, è una promessa. Non esistono soluzioni standard. Ogni Persona Altamente Sensibile ha bisogno di un approccio unico che onori la sua specificità, i suoi tempi, le sue particolari sensibilità. Il mio metodo integrato nasce proprio da questa consapevolezza: non esiste una pratica perfetta per tutti, ma esiste la pratica perfetta per te in questo momento della tua vita.
“Il corpo sa. Confida in esso. Lascia che ti insegni quello che già conosce.” — Marion Rosen
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La consulenza può svolgersi nel mio studio, uno spazio creato per onorare e sostenere la sensibilità, oppure online se preferisci rimanere nel comfort del tuo ambiente familiare per il nostro primo incontro.
Nota importante: Il mio servizio non è una consulenza terapeutica, una diagnosi psicologica o un corso di sviluppo dell’intuizione tradizionale. È un atto di cura basato sull’ascolto interiore, un insieme di pratiche per imparare a riconoscere e coltivare la tua sensibilità come risorsa, un metodo flessibile e personalizzato che rispetta completamente i tuoi tempi e la tua unicità.
Non cerco di insegnarti yoga. Cerco di aiutarti a scoprire la tua pratica unica, quella che il tuo corpo e la tua anima stanno aspettando di ritrovare.